ALESSANDRO BARICCO, SENZA PROFONDITÀ NON C’È ANIMA

Di Gino Morabito

Un pianoforte suonato, male, da sempre e la convinzione che il tempo non sia mai lineare. Un amore musicale nato per lettera e un “sì” celebrato in un sabato di sole. La scoperta della malattia, la ricetta per la felicità. Il bello e il brutto, tutto insieme. Di pagina in pagina, l’evoluzione del pensiero e la creatività di Alessandro Baricco. Con la sua inconfondibile prosa, l’eclettismo intellettuale, con quella felice produzione culturale divenuta invidiabile patrimonio del nostro Belpaese.

Accompagnato sul palco dai musicisti Cesare Picco, Roberto Tarasco e Nicola Tescari, lo scrittore torinese torna in teatro con “Abel concerto”. Lo show, prodotto da Savà Produzioni Creative e Feltrinelli, in collaborazione con Scuola Holden, mercoledì 4 dicembre sarà all’Auditorium Parco della Musica “Santa Cecilia” di Roma.

Le luci si abbassano e si alzano, ma non c’è da guardare, vedere. Solo fantasticare, come si diceva un tempo. Mentre la voce che legge e le note portano lo spettatore oltre gli avvenimenti, le trame e i personaggi. Lo portano nel “sound” del libro.

«Mi andava di portare sul palco il sound di “Abel”. Mi sono immaginato una band capace di far diventare quelle pagine un’esperienza sonora. Quel che posso fare io e che farò è leggerle cercando sempre il loro suono prima che il loro significato, e quel che ho chiesto ai tre musicisti è stato di portare la mia voce in un paesaggio sonoro lungo novanta minuti. Li ho scelti perché mi piace il loro lavoro, perché mi piacciono loro. Sono sicuro che vi porteranno dove voglio arrivare».

Tutti i libri hanno un suono.

«Tutti. Perfino quelli che non ce l’hanno. Un sound particolare che si può riconoscere e, chi ama la letteratura, lo sente. Quanto ad “Abel”, è una sorta di collezione di ballate. Entrare nel mood di quel libro è per me, ogni volta, quasi mistico. E lo è – ho visto – anche per il pubblico».

In fondo, il reading è un “animale fragile”.

«Lo spettacolo dal vivo è un “animale” particolare, purtroppo relegato in alcuni parchi naturali, per così dire. Rappresenta comunque un tipo di esperienza preziosa, davvero importante. È un privilegio portarlo in scena ma anche una grandissima responsabilità. Poiché, oggi più che mai, dev’essere emozionante. Per chi lo fa e soprattutto per chi partecipa».

Nel frattempo, gli scrittori sono diventati più importanti, spesso, dei loro libri.

«Rispetto a quando ho iniziato a scrivere libri, sicuramente la figura dello scrittore è più evidente, ha cominciato ad emergere in superficie. È un mestiere che è molto cambiato in questi trent’anni. In tanti siamo diventati delle piccole installazioni artistiche complessive, fra le presenze sui giornali, i libri che scriviamo, le partecipazioni televisive, gli spettacoli in teatro… Un cumulo di diversi aspetti che, alla fine, rappresentano forse un unico gesto che trova il suo pubblico».

La mission per un autore che sente la responsabilità delle parole.

«Avere profondo rispetto degli altri ed essere onesti con sé stessi. Anche se non è poi così semplice».

Il tempo ci insegna che nulla è per sempre. Che un mattino ci si sveglia ed è il momento di ritirarsi dal mondo, per meglio sbalordirsene.

«Il sentimento chiamato “paura di perdere” non sta in vetta a quelli che mi accade di provare. Sono altri gli stati d’animo che frequento Se penso a me quando avevo dieci anni e all’uomo di oggi, ciò che mi accomuna a quel bambino è la capacità di provare continuamente meraviglia. Intesa come il senso di stupore misto a contemplazione di qualcosa di bello».

“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde”.

«Ancora non lo sapevo quando ho scritto “Castelli di rabbia”, l’ho scoperto solo più tardi. Ho imparato che l’aspetto più complicato del tempo è che spesso le risposte arrivano prima delle domande».

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